Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XIX – 08 ottobre 2022.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Efficaci
100.000 lumen BROAD per trattare il Disturbo Affettivo Stagionale (SAD).
È tempo
in cui i fichi lascian spazio all’uve e il dolce del sole,
che arrotonda
i frutti, non svela i corpi ma accarezza i visi.
[Antico
adagio toscano]
Col cambio di
stagione si sta riducendo la durata dell’illuminazione diurna e ritorna di
attualità il Disturbo Affettivo Stagionale (Seasonal Affective Disorder,
SAD), che finora ha ottenuto solo parziali benefici dalla light therapy
tradizionale. Julia F. Sandkuhler e colleghi hanno sperimentato la terapia BROAD
(Bright, whole ROom, All-Day) con una stanza a grande illuminazione led (100.000
lumen) per sei ore al giorno su 62 pazienti. Rispetto al gruppo di controllo,
trattato solo con i 30 minuti della seduta (10.000 lux SAD box) convenzionale,
il miglioramento dei pazienti trattati con BROAD è stato di gran lunga maggiore
[Cfr. Depression and Anxiety – AOP doi: 10.1002/da.23281, 2022].
Un
nuovo disturbo della coscienza rimasto ancora senza nome.
Con l’impiego
delle Interfacce Cervello-Computer (BCI, Brain Computer Interfaces), i
neurologi sono alle prese con un nuovo gruppo di pazienti sofferenti di danno
cerebrale grave acquisito, che sono allo stesso tempo incapaci di mostrare
alcun segno comportamentale di coscienza ma capaci di rispondere al neuroimaging
attivo o ai paradigmi elettrofisiologici. Anche se tale stato è bene documentato,
coerentemente descritto da numerosi clinici indipendenti e caratterizzato con
precisione, non c’è ancora consenso sulla denominazione con la quale farlo
entrare in nosografia.
Nelle 161 pubblicazioni
esaminate da Caroline Schnakers del Centro Clinico di Pomona in California e i suoi
numerosi colleghi, fra cui Anna Estraneo della Fondazione Don Gnocchi di
Firenze, sono stati individuati 25 nomi differenti, di questi solo 5 sono usati
di frequente: consapevolezza celata, dissociazione cognitivo-motoria,
locked-in funzionale, MCS non comportamentale e dissociazione
della corteccia motoria di ordine superiore.
Urge trovare
un nome condiviso, e a questo scopo gli autori dello screening
bibliografico raccomandano un Delphi Study, ossia la convocazione di un panel
di esperti che raggiunga un’opinione condivisa attraverso un metodo
convenzionale. [Front Hum Neurosci. – AOP doi: 10.3389/fnhum.2022.971315,
2022].
Identificato
un nuovo meccanismo molecolare della tolleranza agli oppioidi. L’efficacia degli analgesici oppioidi è limitata
dallo sviluppo di tolleranza, ossia necessità di aumentare la dose
per conservare l’effetto; fenomeno che interessa anche gli assuntori di
droghe simili all’eroina (diacetil-morfina), per questo esposti al rischio di overdose
e dose letale. Un nuovo meccanismo molecolare della tolleranza agli oppioidi è
stato individuato da Nycole Maza e colleghi: Ptchd1 controlla, attraverso la
regolazione del contenuto di colesterolo di membrana, il traffico dei recettori
μ, proteggendoli dall’iperstimolazione; e ciò accade già in Caenorhabditis
elegans. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-022-01135-0,
2022].
Il
sesso dei ricercatori modula il comportamento dei topi e le risposte alla
ketamina. Somministrando la
ketamina, un anestetico sperimentato come antidepressivo ad azione rapida, e il
suo metabolita bioattivo idrossi-nor-ketamina, i topi mostrano avversione all’odore
dei ricercatori di sesso maschile, preferenza per l’odore delle ricercatrici e
accresciuta suscettibilità allo stress se manipolati da uomini. Questo effetto
era mediato dai neuroni della corteccia entorinale rilascianti CRH (CRF), un
peptide importante nella risposta allo stress e, in questo caso,
rilasciato sui neuroni post-sinaptici della regione CA1 dell’ippocampo. [Cfr.
Nature Neuroscience 25, 1191-1200, 2022].
Gli
esperti birdwatchers hanno mostrato capacità di memoria
con gli uccelli molto superiori alla media. Per studiare gli effetti di una competenza da esperti su prestazioni di
memoria, Erik Wing del Baycrest’s Rotman Research Institute (RRI) e colleghi
hanno testato in compiti di memoria basati su fotografie di uccelli
esperti birdwatchers e, per confronto, esperti in giardinaggio, pesca,
escursionismo e altre attività all’aperto; gli stessi compiti sono stati
proposti a un gruppo di controllo costituito da non esperti. Le conoscenze dei birdwatchers
avevano costituito nel loro cervello una struttura in grado di organizzare le
nuove informazioni e tenere distinte quelle appartenenti a classi molto vicine,
riducendo le interferenze e ottimizzando il processo di ritenzione discriminata.
[Cfr.
Erik A. Wing et al. PNAS USA 119 (26) e2204172119, 2022].
Il
mancato riconoscimento del valore culturale e morale produce effetti negativi
sulla psicologia individuale e collettiva.
Il rifiuto di riconoscere valori culturali e morali
in realtà di fatto e persone, che si sostanzia in una gamma di atteggiamenti che
va dalla mancanza di rispetto al disprezzo, spesso sostenuti da un meccanismo
psichico automatico e involontario di rifiuto della realtà – che in
psicoanalisi si definiva diniego – determina conseguenze psicologiche
negative individuali e collettive.
La nostra
società scientifica, che ha condotto un’osservazione preliminare e sollecita lo
studio sperimentale di questa realtà, ha rilevato che, oltre allo svilimento
fino all’imbarbarimento dei rapporti sociali, un tale atteggiamento è
distruttivo di potenziali fonti di gratificazione, crea ostilità preconcetta e
facilita lo sviluppo di avversione e inimicizia, ossia stati psichici che si
accompagnano a profili funzionali psiconeuroimmunologici dannosi per la salute.
[BM&L-Italia, ottobre 2022].
Modulatori
del recettore della sfingosina-1-fosfato (S1P) efficaci nell’ictus cerebrale. La S1P è un lisofosfolipide bioattivo che
influenza una vasta gamma di processi biologici attraverso il suo legame a 5
distinti recettori accoppiati a proteine G. I modulatori del recettore S1P costituiscono
un gruppo di agenti immunosoppressivi impiegati nella immunoterapia della
sclerosi multipla. L’infiammazione che segue l’ictus può aggravare il danno, ma
il trattamento con modulatori del recettore S1P, in modelli sperimentali e
trial clinici, ha ridotto l’infiammazione in modo evidente. [Zhang W. et al., Journal
of Neurochemistry - AOP doi: 10.1111/jnc.15685, 2022].
“Capri
come antico prototipo di luogo della mente” (in Note e Notizie 01-10-22 Lorenzo L. Borgia): risposta collettiva a richieste di
approfondimenti. Circa la “Capri
archeologica”, che ha suscitato la curiosità di numerosi visitatori del sito,
ci sarebbe molto da scrivere; qui provo a riassumere l’essenziale.
Gli scavi che
confermarono la narrazione di Svetonio furono diretti dal medico naturalista
Ignazio Cerio a partire dal 1882, e poi nel 1905-1906 quando, per un ampliamento
del Grand Hotel Quisisana, si scavò andando sotto lo strato di materiale
eruttivo e, attraversando inconsapevolmente un banco di argilla rossa del
Quaternario, si giunse nel fondo di limo essiccato di un bacino lacustre dal quale
emersero le gigantesche ossa di Elephas primigenius o Mammuthus
primigenius, il cosiddetto mammut, di Rhinoceros merckii (Stephanorhinus
kirchbergensis) o rinoceronte di Merk o della foresta, del Pleistocene, e Ursus
spelaeus o orso delle caverne, anch’esso del Pleistocene.
Nella misteriosa
Grotta delle Felci sita sul versante est del monte Solaro – sopra Marina
Piccola – sono stati reperiti oggetti di una civiltà considerata dell’eneolitico,
per la ceramica dipinta con tecnica tri-cromica e le tracce di articolati riti
funerari (Riellini), e poi battezzata “Appenninica”. Gli scavi dell’Istituto
Italiano di Paleontologia Umana a Capri portarono alla luce un ciottolo con un
dipinto schematico di una figura antropomorfa, e reperirono abbondanti
testimonianze di una comunità stabilmente insediata e attivamente inserita in
una rete che aveva al suo centro lo scambio e l’utilizzo dell’ossidiana,
una roccia effusiva vetrosa nera dalla quale si ricavavano lamine taglienti
come rasoi. Altri studi, esaminando le testimonianze dell’età dei metalli, in passato
attribuite alla cultura appenninica, hanno assegnato i reperti all’Età del
Bronzo Media, Recente e Finale[1]. Altri
elementi reperiti e questioni sollevate richiedono una competenza specialistica
in archeologia per essere trattati. In ogni caso, la maggior parte dei reperti
sono in esposizione al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e all’istituto di
Antropologia dell’Università di Napoli.
Passiamo alla
seconda domanda. Mi è stato
chiesto perché ho scritto “due comunità distinte per antropologia, cultura e
provenienza” a proposito delle comunità di Capri e Anacapri: perché studi
recenti fanno risalire i due insediamenti, l’uno a ponente sull’altopiano senza
accesso al mare, e l’altro a levante, con discese a mare, a due diverse epoche
di colonizzazione da parte di due diverse etnie. La soluzione dei due abitati separati,
uno presso la marina di Capri e l’altro sul monte ad Anacapri, ricalcava la
ripartizione demografica delle Isole greche dell’Egeo.
Non abbiamo alcun
elemento certo per una precisa identificazione dei popoli che colonizzarono
Capri, tuttavia è d’obbligo la menzione del racconto mitico di Virgilio.
La regione
della Grecia occidentale detta Acarnania, affacciata sullo Ionio ed estesa a
comprendere anche l’isola di Itaca, era abitata dal popolo dei Teleboi, una
stirpe nobile e valorosa che era determinata ad assoggettare i territori più
belli e prosperi della Campania[2]. I
Teleboi erano affascinati dalla bellezza di Partenope, unica fra le città
baciate dal mare ad avere un fiume ad attraversarla, il Sebeto, che portava nei
suoi riflessi di sole le ninfe di fiume così vicine a quelle di mare, quale era
la stessa incantevole ninfa fondatrice che aveva dato nome alla polis
italica. Dal matrimonio di Telone, proveniente a Capri dall’Acarnania, con la
ninfa Sebetide (o Sebeti), figlia del fiume Sebeto, nacque Ebalo, mitico re di
Capri.
Dall’isola dei
faraglioni Ebalo approdò a Napoli e intraprese varie missioni militari di
conquista in Campania, giungendo a sconfiggere i Sarrasti che abitavano quei loci
che Servio talvolta chiama anche castella: Rufra, Batulo, Celemna e
Abella[3].
Il re di Capri
Ebalo sarà poi al fianco di Turno contro Enea.
Terza domanda. Lo Scoglio delle Sirene di Marina Piccola
era la sede delle mitiche creature? No. Non se ne trova menzione in alcun
documento anteriore al Settecento, dunque si è ipotizzato che a indicare quella
sede per le ammaliatrici dei marinai sia stata la fantasia creativa di qualche
erudito settecentesco a conoscenza delle tradizioni leggendarie, magari del
racconto delle Sirene capresi da parte di Servio, nel suo commento all’Eneide.
Quarta domanda. A parte la storia romana di Capri, cos’ha di
diverso quest’isola da Ischia e Procida? Molti aspetti; ma credo che la principale
differenza sia geologica: Capri è di origine carsica, Ischia e Procida sono di
origine vulcanica.
Quinta domanda. Perché Goethe ignora Capri? Non si può dire che la
ignori del tutto: certo non ne ha fatto una specifica meta del suo Viaggio
in Italia, ma nel suo diario di viaggio, al venerdì 30 marzo 1787, dopo
essere salpato da Napoli su un elegante veliero di costruzione americana,
annota: “Allo spuntar del giorno ci trovammo tra Ischia e Capri, a circa un
miglio di distanza da quest’ultima. Splendido levar del sole dietro le montagne
di Capri e di Capo Minerva” (Johann Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia,
p. 250, “I Meridiani Collezione”, Mondadori 2006).
Sesta domanda. Perché si chiama Scala Fenicia se l’hanno fatta i
Greci? E, se è sbagliata la denominazione, perché non la si cambia? In realtà,
la Scala Fenicia è una lunghissima e ripida scalinata strutturata a rampe, che
si inerpica sul costone roccioso, salendo in parte a zig-zag tra le rocce per
un chilometro e settecento metri, costruita tra il 600 a.C. e il 500 a.C. da
colonizzatori greci. Come ho scritto, “non si sa bene perché” è detta “fenicia”.
Un’ipotesi è
che l’appellativo sia stato coniato da eruditi napoletani del Seicento, persuasi
senza alcun supporto di evidenza della presenza dei Fenici sull’isola e impegnati,
come si legge in alcuni scritti di quell’epoca, a sviluppare ricostruzioni
storiche arbitrarie e forzature evidenti per sostenere contro ogni ragionevolezza
questa tesi. Si è sempre scelto di non cambiare questo nome perché, ormai, ha
una tradizione di secoli e si teme che a cambiarlo si perda l’identificazione
tradizionale tante volte riportata in saggi e romanzi.
Settima
domanda. Perché nel testo si
escludono le esecuzioni capitali dal Salto di Tiberio? Soprattutto per il rapporto
tra l’Imperatore e la popolazione emerso dagli studi storici.
Amedeo Maiuri,
preceduto dalla fama di grande archeologo dell’Egeo e direttore del Museo Archeologico
di Rodi, fu incaricato, in qualità di nuovo Soprintendente alle Antichità del
Mezzogiorno d’Italia, di portare alla luce le rovine della Villa Jovis di
Tiberio, allora in uno stato che Maiuri stesso così descrive: “…era un cumulo
informe di macerie da cui erompevano, quasi paurosamente, le occhiaie vuote
delle volte delle cisterne…” (Corriere della Sera, 1938). Il grande
lavoro di scavo e ricostruzione, seguito da quello degli altri siti capresi, ha
fornito elementi preziosi agli storici per la lettura di documenti che
consentono di dedurre un rapporto quasi idilliaco con la popolazione: la corte
imperiale aveva portato oro, opulenza e fama, e i nativi, pur conservando la
pace del loro paradiso naturale, sapevano di essere diventati il centro del
mondo; non erano trattati come la plebe di Roma ma come padroni di casa, in un
eden che aveva per ospite l’uomo più potente della terra.
Per quanto
riguarda lo specifico della leggenda del lancio dei condannati dal Salto di
Tiberio, ho già scritto nella nota numero 9 del testo, e qui posso aggiungere
che l’antica forma di esecuzione, consistente nel precipitare in mare dall’alto
e finire mediante i colpi di remi degli aiutanti del boia in attesa nelle
barche, importata a Napoli dalla Grecia, è stata impiegata da tanti governanti nel
corso dei secoli, ma non poteva essere materialmente praticata da Villa Jovis.
Coloro che
diffusero per primi la leggenda, compreso lo stesso Svetonio che l’aveva raccolta
e trasmessa, evidentemente non conoscevano il sito caprese. Uno degli
esperimenti condotti dall’accademico di Francia Du Camp consistette nel provare
a lanciare dai siti del Salto cui è possibile accedere e starvi in piedi, vari
massi di varie dimensioni, provando che da lì, dall’alto, tutto ciò che veniva
lanciato rimaneva inesorabilmente tra le rocce e non avrebbe mai, in alcun modo,
potuto raggiungere il mare. È ragionevole supporre che la leggenda della crudeltà
di Tiberio sia stata ad arte diffusa da capi militari e politici di Roma, che
si sentivano traditi dall’Imperatore che aveva abbandonato l’Urbe,
declassandoli da protagonisti operanti nel centro decisionale imperiale a
semplici corrispondenti periferici per questioni amministrative.
[Lorenzo L.
Borgia ringrazia la professoressa Monica Lanfredini per la consulenza storica].
Notule
BM&L-08 ottobre 2022
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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia,
affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia
delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Cfr. Amodio Marzocchella, La
Grotta delle Felci a Capri in AA.VV. Napoli Antica, pp. 29-35, Gaetano
Macchiaroli Editore col contributo del CNR, 1985.
[2] La presenza dei Teleboi a Capri
è attestata dagli storici antichi, come Silio Italico e lo stesso Tacito, che
scrive: “Capreasque Telebois habitatas fama tradit”. I Teleboi sono citati anche
da Plauto nell’Anfitrione.
[3] Per Rufra, Batulo e Celemna non
esiste alcuna identificazione certa con località contemporanee. Abella è
identificata da Servio con Nola (non con l’attuale Avella), che era chiama “Abella”
dalle Guerre Puniche (bella) nel triste ricordo del disgraziato evento che
aveva avuto inizio proprio in quella cittadina.